IL CROCIFISSO DI FONTECHIARI

IL CROCIFISSO DI FONTECHIARI

IL RESTAURO DEL CROCIFISSO LIGNEO DI FONTECHIARI (FR)

Secolo XVIII

BREVE RELAZIONE DEL LAVORO SVOLTO

Soprintendenza ex Sbap del Lazio, R.U.P.: dott.ssa Alessandra Acconci

Sponsor: ASSOCIAZIONE L’ITALIA FENICE ONLUS

A cura dei restauratori Chiara Munzi e Giuseppe Ammendola

Il crocifisso ligneo proviene dalla chiesa di Santa Maria dei Fratelli di Fontechiari (FR). Il lavoro, seguito in tutte le sue fasi dal RUP dott.ssa Alessandra Acconci e finanziato dall’Associazione Italia Fenice, è stato realizzato dai restauratori Chiara Munzi e Giuseppe Ammendola presso il loro laboratorio di Roma.

Il lavoro di restauro è iniziato lo scorso 23 giugno 2016 quando l’opera è stata prelevata dalla sua nicchia, dove è tornata il giorno 18 novembre 2016.

Il Crocifisso di Fontechiari come molte opere lignee policrome, è andato incontro nel tempo a vari tipi di degrado causati dal naturale invecchiamento della materia,dall’attacco di insetti xilofagi, da altre aggressioni biologiche,da eventi accidentali, da modifiche indotte dall’uomo e dalle condizioni ambientali. Se da un lato la rosura del legno ha impoverito la struttura del manufatto in questione innescando altri tipi di degrado consequenziali, dall’altro le manomissioni attribuibili ad epoca industriale e i discutibili interventi di manutenzione hanno contribuito al deterioramento dell’opera.

Il Crocifisso di Fontechiari, di forte impronta barocca, è stato sottoposto a due tipi di indagini scientifiche realizzate da Emmebi Diagnostica Artistica srl: radiografie e fluorescenza UV. Le indagini radiografiche sono servite a comprendere meglio la tecnica esecutiva dell’opera, che si compone di un unico blocco di legno scolpito (molto probabilmente tiglio) che va dai piedi a gran parte della testa ad esclusione della calotta cranica. Su di esso sono inchiodati le braccia, tutte le parti aggettanti del perizoma e dei capelli e incollati piccoli tasselli che vanno a modellare le parti aggettanti del viso (il naso, il labbro superiore, il labbro inferiore) e le ginocchia.

Le indagini fotografiche mediante fluorescenza UV hanno avuto lo scopo di localizzare gli interventi successivi sull’opera, sia di carattere pittorico che materico. Siamo così stati in grado di identificare, grazie alle diverse proprietà fluorescenti dei materiali stimolati da luce ultravioletta, ridipinture non idonee, sostanze soprammesse e stuccature posticce, al fine di rimuoverle e ricostituire una lettura del manufatto filologicamente corretta. In particolare abbiamo riscontrato un largo e sconsiderato utilizzo di porporina su quasi tutto il perizoma che andava a nascondere un grossolano e invasivo intervento di stuccatura realizzato con materiali recenti. Questo deturpava la plasticità originaria del fiocco soprattutto nell’area dell’attacco col resto del perizoma. La stessa tipologia di stucco sintetico, rigido, che è stato rimosso durante le fasi di restauro, è stata rinvenuta sul viso, sui capelli del Cristo, sulle braccia e in zone sparse del corpo.

Tutto l’incarnato era interessato da uno strato scuro, disomogeneo e diffuso, dovuto all’ossidazione ed ingiallimento della vernice protettiva superficiale che nascondeva dei colori più freddi, realisticamente legati al livore del corpo del Cristo ritratto nel momento di esalare l’ultimo inesorabile respiro. Con un lavoro attento e paziente di pulitura, anche la doratura e la decorazione del perizoma del Cristo, nascoste da strati di stucco e porporina, sono tornate alla luce. È stato inoltre possibile ricollocare un frammento di perizoma che avevamo trovato inchiodato in fondo alla croce (vedi foto totale iniziale) ed eliminare la cassetta di legno avvitata sotto ai piedi del Cristo, aggiunta di epoca recente che sostituisce il teschio e le tibie incrociate che dovevano originariamente essere inchiodate al suo posto (così come ci suggeriscono i fori dei chiodini trovati e l’impronta sulla croce delle ossa incrociate).

La corona di spine è fatta di rovi intrecciati, mentre il Titulus crucis, realizzato su supporto metallico, è sicuramente un’aggiunta recente. Le operazioni di stuccatura sono state realizzate utilizzando la Balsite® per le lacune del supporto più profonde ed il classico impasto a gesso di Bologna e colla di coniglio per le lacune più superficiali. Si è scelto di chiudere i numerosi fori di sfarfallamento per una percentuale di circa il 30% del degrado totale, ponendo una maggiore attenzione alla ricomposizione dell’estetica del viso, trattandosi questa di un’opera di grande devozione popolare. La reintegrazione pittorica è avvenuta con colori ad acquerello e a vernice e sulle aree interessate da grosse lacune stuccate, è stata applicata la tecnica del puntinato.

Il Crocifisso di Fontechiari è stato ricollocato nella sua nicchia, la prima a destra entrando nella chiesa di Santa Maria dei Fratelli. La nicchia è stata bonificata nei giorni a cavallo tra ottobre e novembre 2016, quando, in accordo con la dott.ssa Alessandra Acconci, abbiamo eseguito un descialbo dei quattro strati pittorici soprammessi all’originale. È venuta alla luce una lavorazione dell’intonaco della nicchia a stucco romano di grande pregio, dipinto di color terra rossa. Su di esso, a risparmio, quindi del colore chiaro dell’intonaco, abbiamo trovato i segni di una croce che è del tutto uguale per misure alla croce in restauro. Inoltre tracce dei diversi colori che si sono alternati nella nicchia nel tempo, sono stati ritrovati sulla croce lignea e testimoniano e confermano la stratigrafia delle pareti. A sorpresa, su questa superficie in stucco romano dipinto, è stata trovata una scritta a grafite che riporta una data e una firma. La scritta dice:

«26 Aprile 1898. Fu levato questo Christo da questa nicchia e fu portato nella Chiesa di sopra per ottenere grazia per la pioggia. Un pater noster per noi Filomeno e fratello Gelsomino Ferrante».

Abbiamo dunque la conferma che la nicchia e la croce in restauro di legno di noce nascono nello stesso momento, cioè in una data antecedente il 1898. Si potrebbe allo stesso modo ipotizzare che la scultura raffigurante il Cristo morto e la croce siano coeve, vista l’impronta lasciata sul legno dalle tibie incrociate, i chiodini che fissavano un teschio sotto i piedi e i chiodi antichi fissati alla croce e lavorati a mano, che trafiggono le mani e i piedi del Redentore.

La scoperta della scritta a grafite, oltre a testimoniare una tradizione ed un culto locale, che vuole il Crocifisso di Fontechiari miracoloso in periodi di siccità se trasportato fuori dalla chiesa, ha creato un particolare interesse nella comunità locale che si è subito adoperata a capire chi potessero essere questi Filomeno e Gelsomino Ferrante, riscoprendoli nel bisnonno, sacrestano, dell’ex sindaco e in suo fratello. Per noi che abbiamo eseguito il restauro, invece, la data del 26 Aprile 1898 riportata sul muro, rappresenta un’ ulteriore conferma ai dati già emersi, fissando con molta probabilità un termine post quem per gli interventi di manutenzione (almeno due quelli emersi durante il lavoro) che sono stati eseguiti sul crocifisso. Tale data inoltre ci dà la certezza che gli strati di ridipintura rimossi nella nicchia sono tutti posteriori al 1898.